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Nel settembre del 1937 Antonin Artaud venne arrestato a Dublino, dov'era andato per restituire agli irlandesi il Bastone di San Patrizio. Espulso come «straniero indigente e indesiderabile», sbarcň la settimana dopo a Le Havre giŕ in camicia di forza, pronto per marcire in manicomio a tempo indeterminato. Nel febbraio del 1943, grazie agli sforzi del poeta Robert Desnos, venne trasferito nel territorio di Vichy e assegnato all'istituto di Rodez, diretto da Gaston Ferdičre - vecchio sodale dei surrealisti parigini, poeta dilettante, seguace dell'arteterapia, nonché pioniere della «terapia per convulsioni elettriche», ovvero l'elettroshock. A Rodez, dove rimase sino al maggio 1946, dopo anni di silenzio Artaud ricominciň a scrivere, soprattutto lettere: agli amici - Jean Paulhan, Roger Blin, André Gide, Arthur Adamov -, alla madre, ai medici che lo avevano in cura, in particolare il dottor Ferdičre, suo salvatore e suo aguzzino. Sono pagine incandescenti, dove Artaud parla della fame, delle privazioni che č costretto a subire e degli orribili effetti di spossessamento e torpore causati dagli elettroshock, ma non solo: parla di mistiche e di santi, di teatro e di poesia, della Alice di Carroll e dei libri di Guénon, del rifiuto della sessualitŕ in nome dell'aspirazione a un'assoluta castitŕ e dell'«affatturamento» di cui si ritiene vittima, della famiglia mitica che si č costruito e dei demoni che lo martirizzano. E soprattutto rivendica il suo essere un poeta veggente che anela - ed č un anelito tutt'altro che delirante - a una veritŕ metafisica.